IL POTERE NEI GRUPPI O LE CITTA’ INVISIBILI

di Stefano Mennella – 20/06/2012

(Presentato a Finalborgo (SV), Festa dell’Inquietudine).

Dialogo tra Marco Polo e Kublai Kan, imperatore dei Tartari che ascolta il racconto: “Sire ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco”. “Ne resta una di cui non parli mai”. Marco Polo chinò il capo. “Venezia” – disse il Kan. Marco sorrise. “E di che altro credevi ti parlassi?” L’imperatore non battè ciglio. “Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome”. E Polo: “Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia”. È un viaggio, così lo possiamo vedere, quello che il gruppo, il piccolo gruppo psicoterapico, compie, spesso inconsapevolmente ma in alcuni momenti, invece in modo esplicito; succede, per esempio, quando i sogni dei partecipanti così lo rappresentano, attraverso la messa in scena di viaggi in auto, gite in montagna, spedizioni in comitiva, autobus affollati che si spostano. L’immagine della terapia come percorso è un’immagine piuttosto consolidata, che si avvicina dal punto di vista della rappresentazione, a concetti più squisitamente tecnici, che riguardano la maturazione affettiva e il raggiungimento progressivo di tappe dello sviluppo, in qualunque modo vengano definite da teorie diverse. Questo perché, sempre dal punto di vista tecnico, lo sviluppo psicologico, la capacità di vivere una sessualità e una affettività adulta, non coincidono con lo sviluppo fisico e cognitivo; le nostre parti infantili che in modo inconsapevole (per noi) guidano, in alcuni passaggi della nostra vita, in alcune scelte che risultano a volte essere cruciali (Proust diceva: “le risoluzioni più definitive si prendono sempre in stati d’animo che non sono destinati a durare…”) o in alcune dimensioni dei nostri legami affettivi, incardinano la nostra vita ‘adulta’, per così dire, a strutture infantili che lottano, a volte in modo cruento, per sopravvivere e resistere a possibilità di evoluzione e cambiamento. Allora il viaggio, il viaggio della terapia, attraverso l’esperienza del gruppo o individuale, è quello che ci può permettere di avvicinarci a zone sconosciute o nebbiose della nostra personalità, luoghi che non conosciamo, ma più spesso abitiamo con una parte della nostra mente che teniamo attiva, ‘ a regime ridotto’, con quello che viene chiamato preconscio. Vorrei prendermi la libertà di usare, nel nostro incontro di oggi, termini non tecnici, ma che mi piacerebbe mediare e contaminare con qualcosa di creativo o letterario che esiste dentro di noi e che, quando sentiamo che si attiva, abbiamo l’impressione che testimoni il fatto che questioni tecniche, professionali, abbiano subito un processo di metabolizzazione, di digestione affettiva che ce le rende famigliari, appartenenti. Parti nostre, nostri modi di metterci in relazione e soprattutto di stare in relazione con gli altri, crepacci che si aprono in certi momenti e che ci mostrano spigoli di ghiaccio, taglienti, minacciosi che, osservati negli altri, ci sembrano così poco umani e desiderabili. Spesso sono nostre zone d’ombra come dicevo, angoli sconosciuti-conosciuti, che ci piace definire invisibili per marcare forse una distanza che preferiamo esista, ma l’esistenza dei quali le narrazioni dei poeti romanzieri, drammaturghi, ci obbligano a sospettare, e, in situazioni favorevoli, a vedere: un esempio?, sentiamo ancora Calvino:

“… la città di Moriana, con le porte di alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i lampadari a forma di medusa. Se non è al suo primo viaggio l’uomo sa già che le città come questa hanno un rovescio: (…) la faccia nascosta di Moriana, una distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, muri ciechi con scritte stinte, telai di sedie spagliate, corde buone solo per impiccarsi ad un trave marcio. Da una parte all’altra la città sembra continui in prospettiva, moltiplicando il suo repertorio di immagini: invece non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi”.

Ma se ritorniamo al dialogo iniziale tra Marco polo e il Kublai Khan (quello di Venezia e delle città), possiamo usare come una metafora quello scambio, metafora di diverse situazioni relazionali;  –  Possiamo pensare che parlare di una città parlando di tutte le altre sia quello che succede quando, parlando degli altri, accenniamo anche a qualcosa di noi stessi, comunichiamo qualcosa che ci riguarda, che ci appartiene, come se il racconto di cui siamo narratori, ci riguardasse sempre, in qualche modo. Parlare degli altri cioè rappresenta in questo senso una forma di autorivelazione, di disvelamento, attraverso il quale noi mostriamo nostre parti interne; ad un ascolto attento, che si può sviluppare all’interno di un gruppo, queste comunicazioni riveleranno qualcosa del soggetto che racconta e del suo proprio mondo. – Possiamo invece intendere quello scambio iniziale come se si riferisse al fatto che il gruppo, (anche il gruppo ha una vita sua, indipendente, relativamente….non ci credete? Provate ad immaginare i movimenti di uno sciame di pesci, per esempio molto piccoli, quando c’è un predatore nelle vicinanze…vedrete che lo sciame ha una sua vita, una forma, dei movimenti sui quali, come sappiamo, si basa la funzione di difesa Venezia, si rivela attraverso la descrizione o le parole che un partecipante dice di sé stesso; attraverso il racconto del singolo, il gruppo mostra qualcosa di sé, della sua atmosfera interna, della posizione emotiva che lo caratterizza in quel momento o in quella fase; ascoltare i racconti dei singoli può permettere di percepire anche quello che sta accadendo nel gruppo. Se poteste osservare un gruppo al lavoro vi chiedereste: “ma questa cosa che dice S…oltre a descriverci una sua emozione, un pensiero, una vicenda che lo riguarda, ci dice qualcosa anche del suo passato, o della sua relazione con il gruppo; ma forse, visto che lo dice proprio ora, è anche una reazione a quello che poco prima è stato detto, o forse al modo come ha sentito l’intervento che il conduttore ha fatto”. Inoltre, ci chiediamo, potrebbe esser anche qualcosa che sta dicendo per conto del gruppo, come se fosse una voce che da corpo ad un passaggio emotivo che il gruppo nel suo insieme sta vivendo e che trova quel canale di espressione. Insomma un insieme complesso come vedete, ma è importante che io riesca a trasmettervi questa polifonicità questi diversi livelli comunicativi che all’interno della seduta vengono rappresentati.

Voi direte ma …e il potere?…vi sto descrivendo qualcosa che succede all’interno dei gruppi, per raccontarvi come è complesso, multiforme, scambievole, articolato e intrecciato quello che, avviene nelle sedute di gruppo, per anticipare come anche capire in che modo si distribuisca il potere, debba tenere conto di questa complementarietà, questa distribuzione dei ruoli e di personaggi.

IL POTERE NEI GRUPPI:  Se parliamo di potere possiamo, in modo preliminare, soffermarci sul concetto di potere decisionale, di autodeterminazione e allora il concetto stesso di inconscio, (che è un concetto cardine ma anche, dal nostro punto di vista, una realtà viva, presente per noi che lavoriamo in modo psicoanalitico), mette in crisi il concetto di autodeterminazione….siamo veramente padroni delle nostre decisioni? In che modo la nostra vita inconscia determina, condiziona, guida le nostre azioni e colora i nostri legami con gli altri? In che modo la nostra vita inconscia tesse le trame delle reti di rapporti che intratteniamo con gli altri, creando una atmosfera peculiare per ognuno di noi nel modo come percepiamo e sentiamo la presenza degli altri. Le questioni di cui stiamo parlando condizionano in modo determinante quello che succede non solo all’interno di ogni individuo, ma anche all’interno dei gruppi. Se pensiamo poi a quello che già Freud diceva a proposito della psiche collettiva, cioè del fatto che la psiche individuale è immersa, pervasa da una psiche collettiva che la determina, e che quello che un individuo ritrova dentro di sè, come patrimonio inconscio che lo caratterizza, sono anche le tracce e le eredità dei padri e delle generazioni che lo hanno preceduto, allora ci rendiamo conto che secondo la psicoanalisi, la nostra libertà di scelta, il nostro libero arbitrio è ben poca cosa. Freud in Psicologia delle masse e analisi dell’Io diceva: ” I nostri atti coscienti derivano da un substrato inconscio formato soprattutto da influenze ereditarie.’ Quindi possiamo dire che al netto della presenza dell’inconscio individuale, al netto di quello che oggi si chiama inconscio transgenerazionale, la parte che rimane, il margine a disposizione della mente cosciente del singolo è ben poco. Immaginiamo ora la situazione del gruppo. Se noi risaliamo alle origini delle teorie sui gruppi, un passaggio cruciale è quello che è stato determinato dall’idea che il gruppo non è costituito dalla somma degli individui che lo compongono, ma è costituito da qualcosa di più e di diverso rispetto a questa somma. Quella che Freud chiamava la Psiche collettiva, è stata poi chiamata, pensiero gruppale, matrice, campo; il concetto di campo è stato introdotto da Lewin, mutuato dalle teorie della fisica, e definisce il campo come qualcosa di diverso appunto dalla somma delle sue parti. Chi detiene il potere nel gruppo? Anche in questo passaggio possiamo ritornare a Calvino e alle Città Invisibili:

– Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra, ‘Ma qual’è la pietra che sostiene il ponte?’ chiede Kublai Khan. “Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra- risponde Marco- ma dalla linea dell’arco che esse formano”. Kublai Khan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: “perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che mi importa”. Polo risponde: “Senza pietre non c’è arco”. I rapporti tra individuo e gruppo sono nella vita sociale connotati da una alto livello di mutualità e di interdipendenza. Il contributo del singolo al gruppo nei termini di singolarità, di creatività, di capacità di assumere funzioni, responsabilità e di rischiare per il gruppo, appare radicato all’interno di legami profondi e in certi periodi della vita, indispensabili. Il gruppo d’altra parte risulta presente all’interno dell’individuo e ne costituisce aspetti dell’interiorità, ma anche si propone per il singolo come rete di legami e scenario di rappresentazioni e modelli di identificazioni. L’importanza del gruppo, sto parlando in termini generali, per l’individuo è cruciale: se è vero che l’uomo è animale politico, come diceva Aristotele, politico nel senso di polis come luogo, luogo reale, topos di condivisione e vita comune, ma anche polis nel senso di reticolo, di sistema di relazioni tra gli uomini, di forma di organizzazione della vita delle persone, la necessità del gruppo per l’individuo appare come legata alla costituzione del suo essere. È piuttosto diffusa, in campi anche molto diversi della vita sociale, economica, di studio dei singoli e delle organizzazioni la tendenza ad un cambio di prospettiva rispetto al passato; la valutazione, per esempio nel campo della visione del lavoro nel mondo occidentale (escono continuamente articoli su questi argomenti, anche recentemente) delle risorse dei singoli come individuali, tecniche, razionali sembra abbia fatto il suo tempo; è opinione comune che le risorse dei singoli e le capacità professionali vadano più considerate in un’ottica complessa in cui ci sia non solo uno spazio considerevole per le abilità emotive, ma anche di quelle relazionali, della gestione affettiva dei rapporti e delle abilità empatiche e più sensibilmente orientate sul piano istintuale- emotivo. Il percorso stesso della psicoanalisi dal punto di vista dello studio dei fenomeni oggetto specifico della ricerca, è andato spostandosi dal livello intra-psichico individuale a quello relazionale, intersoggettivo e di campo a testimonianza di una maggiore valutazione del soggetto come inserito in un sistema e in una rete di relazioni.

ENTRIAMO IN UN GRUPPO: Ma proviamo ad entrare dentro ad un gruppo, e ad osservare quello che succede; vi sono fenomeni, molto frequentemente, in particolare nelle fasi iniziali della vita del gruppo, che hanno a che fare con questa questione del rapporto tra individuo e gruppo, ma anche degli individui tra loro. Il gruppo -come dicevamo- da al singolo la possibilità di esprimere stati mentali primitivi, ma toglie anche spazio, singolarità, specificità. Come vedete sono cose che riguardano il potere, il potere del singolo, di parola, della propria identità, del proprio spazio. Queste sono le paure con le quali un individuo entra in un gruppo; autori che hanno studiato i fenomeni di gruppo dicevano: “il gruppo è una minaccia primaria per l’individuo”. In particolare la minaccia è relativa alla immagine che l’individuo ha di sé stesso, all’idea che ci portiamo dentro di noi. Esiste una funzione, all’interno dei gruppi, che è chiamata rispecchiamento e che riguarda appunto la restituzione che gli altri ci propongono della nostra immagine, vista con altri occhi, da angolature diverse e che rappresenta secondo alcuni, una delle funzioni più importanti e specifiche della terapia di gruppo. E allora incontriamo un sogno che compare nelle fasi iniziali di un gruppo: “siamo in un posto dove c’è tanta gente, fratelli e sorelle. Io sono davanti ad una delle sorelle; è magra , alta, bionda. Io le parlo ma mi accorgo che lei non mi capisce, che non mi vede come io sono. Guardo sopra la sua testa; come in un quadro, vedo all’interno quello che lei pensa, le immagini della sua mente. Guardando queste immagini, vedo che lei mi vede in un modo diverso da come io sono: vedo il mio viso in ombra, con un cappello sulla testa, che non ho” .

 Quale città ci descrive Calvino che ci può richiamare questa funzione? Vediamo… “Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive di un lago con case tutte verande una sopra l’altra e vie alte che affacciano sull’acqua..(…). Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta.(…)..la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio, e la Valdrada giù nell’acqua contiene non solo tutte le scanalature e gli sbalzi delle facciate che s’elevano sopra il lago ma anche l’interno delle stanze con i soffitti e i pavimenti, la prospettiva dei corridoi, gli specchi e gli armadi…(…) Lo specchio ora accresce il valore delle cose, ora lo nega. Non tutto quello che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato(…)”.

Secondo gli stessi autori, questa fase iniziale, quella nella quale l’individuo si sente minacciato nella sua individualità dal gruppo, viene superata da parte dei partecipanti, con la costituzione di una illusione comune di un gruppo buono, di valenza positiva, cosa che sposta la minaccia temuta per il singolo, in una fantasia illusoria di una identità comune, unita, solida. Il gruppo quindi, l’unità del gruppo, diventa un rifugio, magari spostando la mira rispetto al vero fine della psicoterapia che è quello della rimessa in discussione di ciascuno singolarmente. Ma il gruppo propone anche la nascita di rapporti profondi, di legami che permettono la messa in scena di immagini interne, di fantasmi che caratterizzano il nostro modo di entrare in relazione con gli altri; il gruppo in questo senso è un potente amplificatore e un osservatorio privilegiato di questi fenomeni e consente la rappresentazione in vivo di queste configurazioni, attraverso gli scambi dialogici, i racconti, le fantasie, i sogni. “ero in casa e trovavo in giro dei bigliettini, attaccati ai muri….di una ragazza che diceva che si era innamorata di me..e ne trovavo tanti…che parlavano di particolari della mia vita…che evidentemente questa tizia conosceva…e io pensavo:”se mette i bigliettini è segno che mi entra in casa”…mi sentivo a disagio…chiedevo anche alla polizia che mi diceva “beh…stia un po’ all’occhio perché se questa persona sa tutte queste cose di lei, può anche essere pericolosa”…e infatti non ero tranquilla…e il sogno continua che c’è non solo questa tizia, ma proprio una famiglia che mi entra in casa…si piazza lì…e io sono a disagio…in casa mia…mi veniva da scappare…”. IL POTERE DELLA CURA:  Entriamo adesso in un’altra dimensione del potere, quella del potere come potenzialità, come forza propulsiva, come capacità e fattore terapeutico; il potere inteso in questo senso perde la caratteristica di allarme, di contrapposizione tra chi il potere ce l’ha e chi lo subisce, per acquistare le caratteristiche di risorsa, di opportunità, di occasione individuale o sociale di acquisire vantaggio, per esempio dal percorso terapeutico e dell’esperienza in gruppo. Quello che in termini sociali è un diritto cardine dell’individuo, la libertà, l’autodeterminazione, in termini psicologici è un faticoso percorso personale, rispetto al quale spesso ci mostriamo rinunciatari e timorosi; e allora che cosa meglio di un gruppo o di un leader nelle mani del quale riporre il nostro destino. Nel gruppo i movimenti di individuazione, di autonomia, di gruppo inteso come gruppo di lavoro, si alternano, oscillando con momenti nei quali prevalgono dimensioni dominate da inconsci movimenti di stasi, quelli che Bion chiamava Assunti di Base; in questi momenti il gruppo si arrocca, in modo inconsapevole, in posizioni dominate da fantasie che non promuovono la maturazione del gruppo, ma la sua difensiva dipendenza, o da un nemico esterno, da una attesa messianica, o da un leader che lo guidi, determinando in questo modo la rinuncia alla sua capacità di crescita. Tra gli elementi che costituiscono il terreno di cui si nutre il gruppo le parole, le comunicazioni e i temi narrativi sono quelli che permettono la creazione di legami e il passaggio di contenuti emotivi tra le persone; in un certo senso, semplifico un po’ il concetto, siamo passati da una psicoanalisi in cui venivano valorizzati i contenuti cognitivi del messaggio, la descrizione fornita dall’analista, esperto, su che cosa emergeva del mondo interno del paziente, ad una psicoanalisi in cui il punto di partenza da cui muove il terapeuta, o il conduttore nel caso del gruppo, è molto più ‘dimesso’, meno autorevole o autoritario (e qui ritorniamo alla questione del potere). E’ chiaro che, secondo questo modello teorico, il potere trasformativo risiede nella relazione e nell’interesse empatico che riceviamo da parte di qualcuno; nei gruppi esiste una promozione abbastanza spontanea di questa funzione che il conduttore può provare a facilitare.

Finiamo con l’inizio del libro di Calvino, quello che lui scrive nella prima pagina, e questo per pensare alla circolarità della vita, che la forma del gruppo forse riprende e alla disposizione d’animo che è necessaria, per intraprendere il viaggio della terapia o che è il risultato del viaggio personale. La acquisizione del senso del limite, la rinuncia alla onnipotenza, da una parte e l’importanza del racconto, della parola e della comunicazione, l’acquisizione del potere all’interno delle relazioni. “Nella vita degli imperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende la sera… (…): è il momento disperato in cui si scopre che questo impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma…(…). Solo nei resoconti di Marco Polo Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana di un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti”.


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